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Il funzionamento sociale dei sex offenders

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L’incremento dei reati sessuali richiede da sempre un intervento rapido e sistematico; una delle questioni cardine riguarda la tipologia di funzionamento sociale del sex-offender. In diversi studi approfonditi sui molestatori di bambini è stato riscontrato come costoro non interagissero realmente con gli adulti ma occupassero una buona parte del loro tempo e delle loro attività sociali con gli infanti poiché incapaci, sessualmente ed emotivamente, di intrattenere relazioni soddisfacenti con gli adulti.

All’inizio degli anni Settanta, Marshall, professore e ricercatore presso la Queen’s University di Kingston in Canada, ha sottolineato l’importanza di affrontare i deficit nelle abilità sociali degli aggressori sessuali attraverso un trattamento cognitivo-comportamentale volto ad insegnare a costoro competenze eterosociali e più specificamente capacità di relazione. E’ stato suggerito che i molestatori di bambini consideravano gli adulti prepotenti e minacciosi mentre ritenevano i bambini compiacenti, sottomessi e non pericolosi. I programmi di trattamento previsti dai terapeuti comprendevano moduli iniziali sulle abilità relazionali che si concentravano principalmente sull’insegnamento delle abilità di conversazione, dell’assertività e della diminuzione dell’ansia sociale; aspetti senza dubbio importanti ma che non esauriscono tutte le variabili necessarie per un adeguato funzionamento sociale della persona.

Per capire e curare gli aggressori sessuali risulta essenziale valutare le loro problematiche relazionali. Secondo Marshall, l’incapacità di ottenere gratificazione nei rapporti intimi con adulti consenzienti può condurre i molestatori a ricercare soddisfazione sessuale con bambini e adulti non consenzienti. Un’ipotesi centrale della teoria di Marshall è che i sex-offenders identifichino l’intimità con il sesso arrivando a credere che qualsiasi tipo di comportamento sessuale sia in grado di soddisfare i loro desideri inappagati. I molestatori quindi, in seguito alle difficoltà che incontrano nel relazionarsi con i pari, utilizzano l’aggressività e la molestia come un modo distorto per fronteggiare il bisogno non riconosciuto di intimità. Risulta tuttavia evidente che l’aggressione sessuale produrrà soltanto un appagamento provvisorio. I molestatori maggiormente consapevoli dell’aspetto fondamentale dei loro problemi, cercano di stabilire un rapporto più complesso con la vittima e questo porta quasi inevitabilmente all’aggressione sessuale, concepita da loro come unica via per ottenere una relazione intima con un’altra persona.

E’ stato riscontrato da più studi che stupratori e aggressori presentano un basso livello di intimità con chiunque, i loro problemi relazionali sembrano infatti manifestarsi in tutti gli ambiti del funzionamento sociale; non stupisce quindi che ottengano punteggi molto bassi quando viene valutata la scala della solitudine.

Un aspetto non trascurabile riguarda l’esame dello stile comportamentale tenuto dagli aggressori nelle loro relazioni sentimentali adulte. Bartholomew e Horowitz hanno ipotizzato quattro forme di attaccamento adulto che sono essenzialmente estensioni di quelle descritte e rilevate tra bambino e genitori (Bowlby 1977; Ainsworth, 1978).

Gli individui con uno stile di attaccamento sicuro hanno un concetto positivo sia di sé che degli altri e affrontano i problemi in maniera costruttiva. Secondo gli autori esistono poi tre tipi di attaccamento adulto insicuro: le persone inquiete, con una visione negativa di sé e incapaci di affrontare i problemi da soli, esprimono le emozioni in modo accentuato e sono eccessivamente coinvolti nelle relazioni. Le persone con uno stile apprensivo hanno scarsa fiducia in se stessi, sono consapevoli dei propri sentimenti ma hanno difficoltà ad esprimerli in modo opportuno. Le persone con uno stile scostante hanno invece un forte senso di fiducia in se stessi, ma una visione negativa degli altri, non cercano aiuto o sostegno da parte di nessuno.

Lo stile di attaccamento inquieto dovrebbe essere collegato ad aggressori sessuali che tentano di instaurare una relazione intima non minacciosa con le loro vittime; lo stile apprensivo pare associato a sex-offenders che si impegnano in contatti sessuali distaccati con le loro vittime mentre lo stile scostante dovrebbe infine individuare un modello di molestia sessuale coercitiva e violenta (Ward, Hudson et al., 1995).

Marshall e i suoi collaboratori hanno descritto alcune procedure di un trattamento cognitivo-comportamentale volto a migliorare le competenze sociali degli aggressori sessuali. Inizialmente presero in considerazione le origini delle capacità di intimità dei membri del gruppo in terapia, discutendo sul loro rapporto con i genitori e sulle loro prime relazioni sentimentali. In un secondo momento, dopo aver presentato gli stili di attaccamento di Bartholomew, i terapeuti chiedevano ai pazienti di definire il loro stile attuale aiutandoli a valutare le conseguenze disfunzionali delle condotte associate. Il tema delle relazioni sessuali veniva facilmente introdotto dal momento che la maggior parte dei pazienti tendeva ad identificare l’intimità con il sesso; questo portava il gruppo e i terapeuti a discutere le presunte differenze tra la sessualità maschile e femminile, cercando di modificare, attraverso una comunicazione efficace, le credenze distorte emerse e fornendo ripetute occasioni per mettere in pratica le competenze di comunicazione nei giochi di ruolo e i comportamenti appropriati per la soluzione dei problemi. A tutti gli aggressori veniva poi richiesto di prendere parte ad un programma di potenziamento delle abilità cognitive e relazionali.

Alla fine dello studio i risultati rilevarono che nonostante i miglioramenti dell’intimità fossero statisticamente significativi, restavano comunque ancora marginali. I punteggi relativi alla valutazione della solitudine risultavano invece migliorati alla fine del trattamento.

Una valutazione di follow-up nelle competenze sociali dei sex-offenders non può che essere necessaria per valutare l’effettivo cambiamento e la sua durata nel tempo.

Resta quindi da considerare quanto sia realmente efficace il trattamento e quanto sia possibile attuarlo e monitorarlo in itinere.

Fonte:

Marshall William L, Anderson Dana, Fernandez Yolanda, Il trattamento cognitivo-comportamentale degli aggressori sessuali.  Centro Scientifico Editore, Torino 2001


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